di Antonio Martone
Uno dei libri che ho letto quest’estate è stato “Il monaco che non voleva avere ragione“ di Björn Lindeblad che racconta il viaggio spirituale di un ex manager svedese in cerca di significato e pace interiore, diventando monaco buddhista nella foresta thailandese.
Attraverso il suo racconto personale, Lindeblad condivide le sfide quotidiane e i momenti di illuminazione vissuti durante gli anni di monachesimo, ma anche il ritorno alla vita “normale”.
Il libro è un diario intimo e riflessivo che esplora la tensione tra il bisogno di controllo e la capacità di lasciarsi andare.
L'autore
Björn Natthiko Lindeblad (1961-2022) è nato a Malmö, in Svezia ed è stato monaco buddhista, insegnante di meditazione, manager e conferenziere.
Si è formato come monaco buddhista nella tradizione della foresta thailandese e ha trascorso 17 anni in monachesimo.
Al suo ritorno alla vita laica, ha iniziato una nuova avventura come public speaker, affermandosi grazie alla sua saggezza e al suo umorismo.
Il suo nome monastico, Natthiko, significa “colui che è in grado di crescere nella saggezza“, un valore che ha incarnato fino alla fine dei suoi giorni, quando ha affrontato con dignità una malattia terminale.
“Il monaco che non voleva avere ragione” è il suo primo libro che è diventato un bestseller internazionale e per il quale ha vinto in Svezia lo Storytel Awards e l’Adlibris Awards come “miglior titolo di non fiction dell’anno“.
Il monaco che non voleva avere ragione in breve
l libro racconta la trasformativa esperienza di Natthiko, un ex manager svedese che abbandona la sua brillante carriera e la vita convenzionale per diventare monaco buddhista in Thailandia.
In cerca di un significato più profondo e di una pace interiore duratura, trascorre 17 anni nel monastero, seguendo una vita di disciplina rigorosa e meditazione.
Attraverso il suo racconto, Natthiko esplora le sfide quotidiane del monachesimo e le sue intuizioni personali, offrendo un’analisi sincera e riflessiva del percorso spirituale.
Un tema centrale è la tensione tra il desiderio di controllo e la capacità di lasciarsi andare. Lindeblad riflette su come la vera pace si trovi non tanto nel tentativo di controllare ogni aspetto della vita, ma nell’accettazione e nella pratica della mindfulness.
Inoltre, il libro tratta della saggezza che si può trovare nella vulnerabilità, dimostrando come affrontare le proprie debolezze possa condurre a una maggiore comprensione di sé e degli altri.
In sintesi, “Il monaco che non voleva avere ragione“ è un viaggio personale e spirituale che offre profonde lezioni sulla ricerca di pace interiore e sulla natura della vera saggezza.
Il libro, però, non solo descrive le sue esperienze nel monastero, ma anche il suo ritorno alla vita laica e le difficoltà che ha affrontato nel reinserirsi nella società. Ed è qui che ci è scappata anche una lacrimuccia.
Tre punti salienti del libro
1. Accettazione e abbandono del controllo
Natthiko affronta ripetutamente l’idea del controllo e la difficoltà di accettare l’incertezza nella vita. Durante il suo periodo come monaco, impara che cercare di controllare gli eventi è un’illusione.
Non possiamo sempre forzare la realtà a conformarsi ai nostri desideri. Uno dei passaggi che esprime bene questo concetto potrebbe essere:
Spesso pensiamo di sapere come dovrebbero andare le cose, ma la verità è che il controllo è un’illusione. È quando smetti di resistere alla realtà che trovi la vera pace.
Questo principio è applicabile non solo nella pratica spirituale, ma anche nelle relazioni quotidiane, nel lavoro e in tutte le situazioni dove sentiamo il bisogno di controllare ogni aspetto della nostra vita.
2. Il potere della presenza consapevole
La mindfulness, o meglio la consapevolessenza, come amava chiamarla Natthiko è un pilastro del libro. Lindeblad ricorda che il presente è l’unico momento su cui possiamo davvero agire e trovare serenità.
Uno degli insegnamenti fondamentali è imparare a non essere schiavi dei pensieri su passato e futuro. Uno dei passi da ricordare è questo:
Ciò che la tua testa ti presenta come il futuro, non è il futuro. È un abbozzo, un’immagine frammentaria costruita in base ai tuoi ricordi e alle tue esperienze.
E quello che ricordi non è che una minima frazione di quello che realmente è accaduto nella tua vita.
Questa riflessione sottolinea l’importanza di allenarsi a vivere nel momento presente, dove risiede la possibilità di trovare pace interiore, indipendentemente dalle circostanze esterne.
3. La saggezza nella vulnerabilità:
Natthiko mette in luce come il mostrarsi vulnerabili sia una fonte di forza, piuttosto che una debolezza.
Il suo stesso percorso di malattia terminale lo porta a confrontarsi con la propria fragilità, insegnando ai lettori che l’accettazione delle proprie debolezze è un atto di coraggio.
Nulla dura. Tutto passa. Ecco la cattiva notizia. Ma anche quella buona.
Riconoscere la propria vulnerabilità significa abbracciare la condizione umana in tutta la sua complessità, senza vergogna o paura.
Conclusioni
Ho letteralmente divorato questo libro in pochissimi giorni e ho amato la capacità e la sincerità dell’autore nel trasmettere ogni aspetto della sua esperienza come monaco della foresta.
Apprendere che anche per un monaco buddhista che pratica la mindfulness ogni giorno per ore (e per tanti anni), è difficile restare impassibile ai propri pensieri, è stata una rivelazione per me che ancora oggi, spesso, faccio fatica a restare connesso al presente.
Infatti, la vera pace interiore non si trova nel cercare di controllare tutto o nel bisogno di avere ragione, ma piuttosto nell’accettazione della vita così com’è, con tutte le sue incertezze e imperfezioni.
Il libro si chiude con un richiamo alla gentilezza e alla compassione, verso sé stessi e verso gli altri. È davvero emozionante la lettera che scrive al proprio corpo ormai esausto e provato dalla malattia.
“Il monaco che non voleva avere ragione“ è semplicemente un libro da leggere.
Al prossimo post,
Antonio M.