di Antonio Martone
Da quando ho iniziato ad approfondire l’argomento Slow living, mi sono posto un interrogativo: “Perché siamo diventati schiavi del tempo?“.
Dove nasce il nostro bisogno di correre all’impazzata, pur riconoscendo l’inutilità di tanto trambusto?
Se vogliamo iniziare a rallentare, dobbiamo innanzitutto capire perché abbiamo accelerato e per farlo abbiamo bisogno di capire la nostra relazione con il tempo.
L'uomo e il tempo
Ammettilo: la prima cosa che fai la mattina è controllare l’ora.
Da quel momento è un continuo rincorrere le lancette che, ahinoi, saranno sempre più veloci.
Non bastano le minuziose to-do list organizzate al minuto o l’ultimo corso di time management al quale ci ha spediti il nostro capo, il tempo scorrerà inesorabilmente e, nella speranza di rallentarlo, anche la nostra vita.
La verità è che l’uomo è sempre stato schiavo del tempo e sin dall’antichità ha provato a misurarlo.
Ventimila anni fa, secondo gli archeologi, l’uomo contava i giorni tra una fase lunare e l’altra incidendo fori e linee su ossa e bastoni.
Ogni grande civiltà ha creato un proprio calendario e, una volta imparato a contare i giorni, i mesi e gli anni, l’uomo ha provato a frazionare il tempo in unità sempre più piccole.
Siamo passati così dalle clessidre che avevano il compito di scandire una determinata quantità di tempo, ai più precisi cronografi che hanno la capacità di cronometrare fino al millesimo di secondo.
Gli orologi ci hanno promesso di essere più efficienti, ma nello stesso tempo ci impongono di affrettarci e finiamo per essere controllati da uno strumento che doveva renderci liberi.
Una volta esisteva il “Tempo Naturale“, ovvero si facevano le cose quando lo si riteneva opportuno, non quando scoccava una determinata ora. Si mangiava quando si aveva fame e si dormiva quando si aveva sonno. Semplice.
Ma quando abbiamo iniziato a scandire il tempo, implicitamente abbiamo accettato di prendere ordini. Se hai la pausa pranzo alle 13, ti vada o meno, a quell’ora precisa consumerai il tuo pasto.
Pian piano, il Tempo dell’Orologio ha preso il sopravvento sul Tempo Naturale, fino ai giorni nostri in cui si pianifica la giornata in blocchi da mezz’ora.
La “pianificazione” ebbe il suo inizio e divenne un’abitudine con la Rivoluzione Industriale. La velocità delle macchine prometteva e garantiva una prosperità senza eguali.
Chi produceva nel minor tempo possibile era in grado di vendere ad un prezzo più basso, sbaragliando la concorrenza.
Ma il culmine si ebbe quando la retribuzione degli operai passò da quella a cottimo a quella oraria. Più si producevano pezzi in un’ora e più le aziende guadagnavano.
Grazie alle nuove tecnologie si potenziavano gli stabilimenti e la velocità divenne una conditio sine qua non per rimanere sul mercato.
Per inculcare ai lavoratori la nuova disciplina imposta dal capitalismo moderno, le classi dirigenti promuovevano la puntualità come dovere civico e virtù morale.
Nel suo catalogo del 1891, la electric Signal Clock Company metteva in guardia i clienti dalle insidie della svogliatezza: “Se vi è una virtù che va coltivata più di qualsiasi altra da chi desidera farsi strada nella vita, è quella della puntualità; se vi è un errore da evitare, è quello di restare indietro”.
– Carl Honore (E vinse la tartaruga. Elogio della lentezza: rallentare per vivere meglio)
Insomma la puntualità divenne uno strumento di valutazione di affidabilità, credibilità e di successo.
Ma per essere puntuali, in un mondo che gira alla velocità della luce, abbiamo gioco forza iniziato a correre.
Dal momento in cui abbiamo iniziato a percepire il tempo come una risorsa limitata, ci impegniamo a mettere a frutto ogni istante.
Ed è qui che nasce il paradosso: occupiamo ogni istante della nostra vita senza essere presenti.
Dall’istante in cui apriamo gli occhi al mattino fino a quando a sera, stanchi morti, sprofondiamo tra le lenzuola, abbiamo portato a termine l’ennesima maratona che non segnerà né vinti né vincitori.
Ma ormai ci siamo talmente abituati alla velocità che se una pagina web ci mette più del solito a caricarsi, ci infuriamo e clicchiamo all’impazzata il tastino del mouse con la speranza che ci restituisca il sito web agognato.
E il nostro cervello? È veramente pronto a tutta questa velocità?
Il tempo del cervello
Contrariamente a tutti gli altri sensi, non abbiamo dei recettori specifici per il tempo, salvo i regolatori circadiani che però hanno la funzione di regolare i cicli sonno-veglia.
La verità è che il tempo è, per così dire, un’astrazione. Ognuno di noi sa cosa sia, ma a tutti risulta difficile spiegarlo.
Cos’è il tempo?
Io so cosa è il tempo, ma se me lo chiedi non lo so più.
– Sant’Agostino
Come detto, l’uomo è stato in grado di misurare il tempo e di frazionarlo nelle sue più piccole unità e, grazie a strumenti sempre più tecnologicamente avanzati, portiamo con noi segnatempo sempre più precisi.
Ma qual è il tempo del nostro cervello? È davvero pronto a lavorare a queste velocità?
Mettiamola in questi termini: il cervello ha un tempo (di elaborazione e di reazione) veloce e uno lento.
In genere le reazioni rapide agli stimoli provenienti dall’ambiente, sono quelle che ci hanno permesso di evolverci e di sopravvivere fino ad oggi.
Infatti, milioni di anni fa, le reazioni rapide servivano per rispondere ai pericoli e alle minacce dell’ambiente e, nella popolazione dell’epoca prevalevano sulle azioni più lente.
La modalità lenta è propria dell’uomo a partire dallo sviluppo della parola.
Quando circa 100.000 anni fa, nell’evoluzione della specie umana emerse l’uso della parola, si dette vita al pensiero logico e riflessivo che, gioco-forza, ha bisogno di un tempo di elaborazione più lungo.
Se il pensiero veloce ha caratteristiche automatiche o semiautomatiche, il pensiero lento non è mai rigido ed è frutto di una elaborazione conscia.
Cervello VS Velocità
Con le premesse appena fatte, è chiaro che per stare al passo con i tempi e per rispettare la velocità che ci viene imposta dalla società e dalle moderne tecnologie, dobbiamo rispondere velocemente a tutti questi stimoli.
Il risultato? Azioni sempre più standardizzate e automatiche.
In altre parole: viviamo sempre di più con il pilota automatico inserito.
Siamo come i criceti che girano all’impazzata sulle nostre grandi ruote che chiamiamo lavoro, affari, palestra, famiglia, tempo libero, senza accorgerci che abbiamo creato una risposta automatica per ognuna di queste categorie.
Quando è stata l’ultima volta che davvero hai dedicato il tuo tempo esclusivamente al lavoro, alla tua famiglia e così via, in maniera cosciente e presente?
Quando pensi che non c’è mai il tempo per fare tutto ciò che vorresti, stai già disattivando il pensiero lento e cosciente per dare spazio a quello veloce e automatico.
In questo modo magari porterai a termine la tua bella to-do list, ma non avrai vissuto con presenza neanche un minuto di una interna giornata.
Tra il progresso della tecnologia e la capacità di metabolizzarla c’è una tale disarmonia che genera ansia prima e depressione poi, se non si riesce a stare al passo. Il tutto in nome di un consumismo sfrenato, illogico e non più sostenibile.
La domanda è: vuoi davvero che le cose continuino in questo modo?
Vuoi davvero contare i minuti mentre stai leggendo la favola della buonanotte a tuo figlio perché devi ritornare a lavorare?
Vuoi veramente andare avanti come un automa fino all’età pensionabile?
Forse è arrivato il momento di rallentare e, perché no, scendere dalla giostra.
Conclusioni
Adottare uno stile di vita più lento e incentrato alla consapevolezza è, come ho già ho scritto in un altro post, una vera e propria rivoluzione.
Riappropriarsi del tempo, del pensiero lento e del presente, dovrebbero essere le uniche voci da inserire nelle to-do list di tutti i giorni.
Nel corso di milioni di anni abbiamo sviluppato un cervello in grado di fare cose meravigliose, ma solo se gli lasciamo il giusto tempo d’azione.
E tu, sapevi di essere schiavo/a del tempo? Fammelo sapere nei commenti.
Al prossimo post,
Antonio M.