di Antonio Martone
Il coraggio di non piacere è un libro che non vorresti mai finire di leggere, cosa molto strana per un libro di saggistica.
Sarà che è stato scritto in forma di dialoghi o per la semplicità con la quale gli autori descrivono la psicologia adleriana, la verità è che lascia un segno a chi lo legge con curiosità e apertura mentale.
E visto che le parole di questo libro si sono fatte strada dentro di me non privandomi di quel segno, te ne parlo in questa mia personalissima recensione.
Gli autori
Ichiro Kishimi, classe 1956, è filosofo, psicologo adleriano e traduttore di lingua inglese e tedesca.
Laureato in filosofia all’università di Kyoto, è direttore della Società Giapponese di Psicologia Adleriana.
Ex consulente presso la Maeda Clinic, ha insegnato filosofia e greco antico in varie istituzioni come la Kyoto university of Education e la Nara Women’s University.
Attualmente insegna psicologia dell’educazione e psicologia clinica presso la Meiji School of Oriental Medicine di Suita, Osaka. Dedica il suo tempo a tenere conferenze sulla psicologia adleriana e sull’educazione infantile.
Fumitake Koga, classe 1973, è un apprezzato autore di manuali di business e saggi.
Dopo aver incontrato Ichiro Kishimi, si è avvicinato alla sua scuola di pensiero ed è tornato molte volte a Kyoto per incontrarlo.
Oltre a Il coraggio di non piacere, è stato tradotto in italiano anche Il coraggio di essere felici, scritto sempre a quattro mani da Kishimi e Koga.
Il coraggio di non piacere in breve
Alla periferia della città millenaria viveva un filosofo. Insegnava che il mondo era semplice e la felicità immediatamente accessibile a tutti.
Un giovane, insoddisfatto della vita, gli fece visita per andare a fondo della questione. Considerava il mondo un groviglio caotico di contraddizioni e, ai suoi occhi pieni d’ansia, qualunque idea di felicità sembrava totalmente assurda.
È così che inizia Il coraggio di non piacere.
Cinque notti in cui il giovane ed il filosofo avranno lunghe conversazioni circa la possibilità di essere felici.
Da un lato un giovane uomo convinto che la felicità sia effimera, in un mondo in cui vige la competizione, l’apparenza e il giudizio altrui; dall’altro lato un filosofo convinto che il mondo sia un luogo semplice e che la felicità sia alla portata di tutti.
Il filosofo, rispondendo alle domande del giovane, in realtà ci spiega in parole davvero molto semplici la psicologia adleriana.
In netto contrasto con la psicologia freudiana, Adler asserisce che non esistono traumi, o meglio, i nostri comportamenti non rispondono a esperienze traumatiche, bensì a scopi inconsci.
Si passa così dall’eziologia (lo studio della causalità), alla teleologia (lo studio dello scopo di un dato fenomeno anziché della sua causa).
Nessuna esperienza è, di per sé, causa del nostro successo o fallimento. Non soffriamo per lo shock delle nostre esperienze, bensì ne traiamo ciò che serve ai nostri scopi. Non siamo determinati dalle nostre esperienze, ma il significato che attribuiamo loro è autodeterminante.
In pratica, anziché chiedersi quale causa ha scatenato un comportamento, bisognerebbe chiedersi per quale scopo è stata assunta quella condotta.
Hai mai pensato che la tua ansia non sia legata ad un trauma o ad un’esperienza passata, ma alla tua insicurezza? Magari non vuoi affrontare una determinata situazione e ti crei uno stato di ansia.
In questo caso lo stato di ansia serve come scopo per non far fronte a quella circostanza.
Le teorie di Adler affrontate ne Il coraggio di non piacere sono basate sulla teleologia, ma nel corso del libro si affrontano vari argomenti davvero interessanti.
Di questi, come al solito, ne ho selezionato tre.
Tre punti salienti del libro
Ne Il coraggio di non piacere ho trovato molti spunti di riflessione, ma tre in particolare hanno catturato la mia attenzione.
1. La rabbia è un mezzo per raggiungere uno scopo
La verità, secondo Adler, è che sfruttiamo l’emozione della rabbia a nostro vantaggio.
Nel libro il giovane racconta di quando una volta un cameriere gli ha rovesciato il caffè sulla giacca e di come sia letteralmente esploso dalla rabbia.
Il giovane è fermamente convinto che la causa della sua rabbia sia la malefatta del cameriere, ma non è dello stesso avviso il filosofo.
GIOVANE: allora come spieghi la mia collera?
FILOSOFO: È facile. Non ti sei infuriato e poi hai iniziato ad urlare, bensì ti sei infuriato per poter urlare. In altre parole, hai creato l’emozione della rabbia per conseguire l’obiettivo di urlare.
GIOVANE: Cosa vuoi dire?
FILOSOFO: L’obiettivo di urlare è venuto prima di qualunque altra cosa. In sintesi, urlando volevi indurre il cameriere a sottomettersi e ad ascoltarti. Hai generato quell’emozione come strumento per raggiungere uno scopo.
Ti confesso che a vederla da questa prospettiva mi si è aperto un mondo. In effetti, se ci pensi, quante volte ci è capitato durante un’accesa conversazione di rispondere poi al telefono e di cambiare istantaneamente tono e volume?
E magari dopo la telefonata di riprendere la conversazione con toni accesi e bellicosi.
Quando ho letto questo capitolo del libro, ricordo di aver chiuso il mio kindle e di aver immaginato l’ultima volta in cui ho alzato la voce.
Fu in una conversazione con mia madre. Ognuno dei due cercava di convincere l’altro/a delle proprie ragioni e, nel frattempo, il tono saliva affermazione dopo affermazione.
Ad un tratto il cicalino del mio cellulare mi avvisa di aver ricevuto un messaggio. Apro wathsapp ed era la mia compagna che mi mandava una foto del piccolo mentre era al parco.
Mi apro in un sorriso e mostro la foto a mia madre che, come me, all’istante cambia completamente volto.
Due secondi dopo urlavamo di nuovo.
Morale della favola? Siamo assolutamente in grado di controllare la rabbia e quando non lo facciamo è solo perché ci serve per sottomettere il nostro interlocutore o per giustificare una determinata azione.
2. Non viviamo per soddisfare le aspettative altrui
Siamo cresciti tra elogi e punizioni: se ti comporti bene sei bravo, se ti comporti male avrai una punizione.
Se ci pensi è lo stesso approccio che viene utilizzato a scuola con il sistema dei voti. Anche nella mia classe c’era il classico “secchione” da tutti i prof adulato e noi, in confronto, eravamo solo dei somari. Che bella la scuola, vero?
Se soddisfi le aspettative degli altri, allora meriti un premio come l’approvazione; se non le soddisfi vieni ignorato o giudicato, meritando una punizione.
FILOSOFO: non è necessario realizzare le aspettative altrui.
GIOVANE: Che affermazione egoista! Stai dicendo che bisogna pensare soltanto a sé stessi e vivere nell’ipocrisia?
FILOSOFO: Negli insegnamenti dell’ebraismo c’è un concetto che suona più o meno così: se non vivi la tua vita per te stesso, chi la vivrà al posto tuo? Vivi soltanto la tua vita. Quando si tratta di stabilire per chi tu stia vivendo, naturalmente quella persona sei tu. Allora se non la vivi per te stesso, chi la vive al posto tuo?
FILOSOFO: Il profondo desiderio di approvazione sfocia in una vita passata a seguire le aspettative di chi vuole che tu sia un certo tipo di persona. In altre parole, getti via il tuo vero io e vivi la vita di altri. Per favore, ricorda una cosa: se tu non vivi per soddisfare le aspettative altrui, ne consegue che gli atri non vivono per soddisfare le tue.
Io ti avevo avvisato che Il coraggio di non piacere è un libro che lascia il segno. Come si può rimanere indifferenti a queste parole?
Quanti vivono unicamente per soddisfare i desideri degli altri? Quanti compiono azioni solo per una mera approvazione che solletichi il proprio ego e niente più?
Vivere la vita rinunciando all’approvazione degli altri, vuol dire essere liberi dal giudizio altrui e questo, credimi, aumenta notevolmente la tua autostima.
3. Cos’è la vera libertà
Nessuno vuole essere disapprovato, ma la verità è che tutti siamo oggetto della disapprovazione di qualcuno, e questo è un dato di fatto.
Quando ci disapprovano proviamo le stesse emozioni del giovane uomo del libro: angoscia, rimuginio, collera, senso di colpa.
La verità è che, per essere liberi, dobbiamo innanzitutto liberarci di quest’altra forma di attaccamento che è l’approvazione.
FILOSOFO: In breve, la propria libertà non piace alle persone.
GIOVANE: Prego?
FILOSOFO: La disapprovazione degli altri nei tuoi confronti è la dimostrazione che eserciti la tua libertà e che vivi nella libertà e nel rispetto dei tuoi principi. […]
C’è un prezzo da pagare per esercitare la propria libertà e, nelle relazioni interpersonali, coincide con la disapprovazione altrui.
GIOVANE: Cercare la disapprovazione degli altri. È questo il tuo consiglio?
FILOSOFO: Il mio consiglio è non avere paura di riceverla.
FILOSOFO: Il coraggio di essere felici sottintende anche il coraggio di essere disapprovati. Quando conquisti quel coraggio, le tue relazioni interpersonali si alleggeriscono all’istante.
Insomma, ci vuole il coraggio di non piacere.
Riflessioni finali
Quando si legge un libro, le parole vengono percepite e assimilate rispetto allo stato d’animo che accompagna la lettura.
Leggendo Il coraggio di non piacere mi sono sentito leggero.
Il mio percorso di crescita personale e di cambiamento mi hanno aiutato a non giudicare e a non preoccuparmi del giudizio altrui.
Gli insegnamenti che anche tu puoi apprendere leggendo Il coraggio di non piacere, ti offrono un nuovo punto di vista, una prospettiva dove tu sei il centro del tuo mondo ed è compito tuo seguire la strada per la tua felicità.
Se rimani attaccato all’approvazione altrui, stai facendo interferire gli altri nei tuoi compiti, finendo per vivere una vita che non ti appartiene.
Segui la tua strada, trova la tua direzione e, se proprio ricerchi la felicità, abbi il coraggio di non piacere.
Spero di aver solleticato la tua curiosità e invogliato/a alla lettura di questo libro. Se decidi di farlo, torna qui e raccontami la tua.
Al prossimo articolo.
Antonio M.